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Un viaggiatore francese a Tusa
nella Sicilia del 1776

 

Jean Houel

Voyage pittoresque de Sicilie, de Malte et de Lipari

(traduzione dall'originale francese a cura di Alfonsina Bellomo, che si ringrazia)

 

Partii da Cefalù il primo agosto per recarmi a Messina dove avevo fretta di arrivare per assistere alla festa della Madonna che vi si celebra il 15 del mese, una festa di cui mi avevano raccontato meraviglie. Avevo però molte cose da vedere lungo la strada. Partii da Cefalù con una barca guidata da quattro marinai a cui Don Agostino Manuzza e Don Francesco Dini mi avevano vivamente raccomandato. Il sole non era ancora tramontato, vidi con piacere tutte le ricche campagne che costeggiano il mare e che sono dominate da distese di frassini e di olivi. Godetti di questo spettacolo finché l'ombra confuse tutti gli oggetti e il sonno arrivò a chiudermi le palpebre. A mezzanotte i quattro marinai mi sbarcarono sulla spiaggia di Tusa che doveva essere la mia prima tappa lungo il tragitto per arrivare a Messina. Non c'era altro che una miserabile osteria dove bussammo invano; data l'ora tarda non ci vollero aprire. I marinai decisero di abbandonarmi solo su quella spiaggia dove depositarono i miei bagagli, si rifiutarono di condurmi più lontano e perfino di tenermi compagnia fino all'alba. Ebbi con loro una vivace disputa di quelle che si possono avere quando si è soli su una spiaggia sconosciuta con quattro uomini robusti e rudi, capaci di seppellirti tra le onde. Li lasciai andare via e mi sedetti sulla valigia davanti la porta dell'osteria, contemplando la bellezza del firmamento e ascoltando il rumore delle onde che si abbattevano sulla spiaggia. Avrei voluto dormire. L'alba aveva appena cominciato a biancheggiare in cielo quando un contadino che tirava un asino passò dal luogo dov'ero io e fu sorpreso di vedermi. Mi domandò con cordialità come e perché fossi là: gli raccontai dell'abbandono dei marinai e del rifiuto di aprirmi all'osteria. L'oste era un suo amico, anzi un suo compare, lo chiamò, gli parlò e lo convinse ad accogliere uno straniero abbandonato solo sulla spiaggia. Entrai, la fatica e il sonno mi tormentavano, mi sistemai a dormire tra una panca ed un tavolo, con grande disagio, ma felice al solo pensiero di potermi riposare. Improvvisamente udii orribili grida: mi alzai e mi misi in ascolto, erano le grida di una donna: l'ostessa che partoriva. Non ci fu più modo di dormire. Le doglie aumentavano e l'oste fu costretto ad andare a chiamare la levatrice. Mi pregò di assistere la moglie, acconsentii e mi ritrovai immediatamente trasformato in infermiere; mi adattai al meglio al nuovo incarico. L'oste ritornò con la levatrice e tutto andò bene. Il bambino fu accolto con gioia. La coppia fu così contenta della mia collaborazione che mi scelse come padrino. In brevissimo tempo ero diventato amico di famiglia e compare dell'oste di (Castel di) Tusa.

Tusa

Tuttavia non mi fermai a lungo e il pomeriggio dello stesso giorno mi recai a Tusa. Mi incontrai sulla piazza della città con tutta la nobiltà locale e con Don Antonio Gulioso a cui ero stato raccomandato. Egli mi fece alloggiare nel convento dei Cappuccini dove secondo le abitudini del posto mi fece servire la cena. I Cappuccini e i loro vicini vennero in gran numero a rendermi visita durante il pasto. Il giorno dopo il barone (Gulioso) mi venne a prendere e mi condusse a vedere la statua di Claudio Pulcro che si trova in una pubblica piazza. Lì fui assalito da ogni genere di persone. Questa gente non immagina che ci siano dei limiti davanti ai quali si deve contenere la propria curiosità. Non ho mai sofferto così tanto lavorando come per la realizzazione di quel disegno dal vivo: avevo almeno 30 persone intorno a me e tutte volevano vedere, essi non temevano affatto di essere importuni, non immaginavano neanche di disturbarmi. Ero costretto a disegnare con rapidità e gli ostacoli che si frapponevano tra me e l'opera rendevano l'operazione lunga. Mi affaticai così tanto che la mia salute ne risentì per qualche giorno.

 

TAVOLA CINQUANTADUE

Statua di Claudio Pulcro. Figura trovata a Caronia. Altra statua di Console Romano.

La statua di Claudio Pulcro, situata vicino la porta della città e poggiata su un piedistallo, è in marmo. È gradevole a vedersi e benché sia di uno stile non molto raffinato le proporzioni sono equilibrate; il gusto e il taglio restano mediocri. Gli intenditori d'arte di Tusa ne sono così innamorati che hanno conservato una mano di questa statua che era stata rotta e l'ascia che essa teneva nell'osteria del paese dove si sono annerite per il fumo della pubblica mensa che vi si fa: dico pubblica mensa perché proprio lì si forniscono tutti coloro che non sono abbastanza ricchi da avere un tavolo e una cucina a casa loro. Ho consigliato di trasportare questi frammenti nella biblioteca dei Cappuccini dove ero alloggiato, ho spiegato che vi avrebbero trovato più decente sistemazione: il mio consiglio è stato accolto. Le persone più istruite della città mi hanno assicurato che non avrei trovato niente di interessante a Mistretta e a Motta, che sono dei paesi moderni situati nel circondario.

Alesa

L'indomani di gran mattino a cavallo partii per andare a vedere il luogo dove è Alesa, città un tempo situata a tre miglia da Tusa che non era altro che un forte del suo sistema di difesa. Cicerone ne parla nel suo atto d'accusa contro Verre. Per arrivarci dovetti scalare una montagna attraverso un percorso terribile. Dopo un'ora di dura marcia arrivai a una chiesa abbandonata che cade in rovina benché vi si dica ancora messa una volta a settimana; essa appartiene ai Benedettini. Non ho trovato in quel luogo altro che un pezzo cubico di marmo bianco di circa due piedi, dei grossi mattoni, qualche pezzo di scultura, due vasi di terracotta e due canalette, niente di più. Le mura visibili non sono antiche, sono i resti della cinta di mura del convento dei Benedettini che hanno abitato in questo luogo e che l'hanno abbandonato da quando si è spopolato. Gli   abitanti di Tusa mi hanno detto che erano state trovate delle tombe costruite e coperte con grosse tegole, talvolta chiuse con una lastra di marmo; in queste tombe erano stati trovati dei vasi ma tra tutti quelli rinvenuti solo uno era pieno di ceneri, raramente c'erano delle monete o gli oggetti che di solito custodiscono le tombe antiche. In questo luogo e nei suoi dintorni sono state ritrovate molte medaglie descritte nell'opera del principe di Torremuzza. Me ne hanno mostrate parecchie quasi del tutto cancellate, me ne hanno regalata una greca di bronzo fuso. Ne ho visto una d'oro rappresentante Augusto, era della grandezza di un luigi ma pesava molto di più. Era molto ben conservata ma mediocremente incisa. Il terreno in cui Alesa è costruita è molto montuoso e povero d'acqua benché il fiume, o piuttosto il torrente Aleso, vi scorra accanto con la sua modesta portata. In linea di massima non ho visto niente che meritasse attenzione tranne la vista che è veramente piacevole; ho notato in diversi posti di queste montagne dei boschi di una specie di quercia che qui chiamano quercia verde perché conserva le foglie tutto l'anno. Quest'albero differisce molto dall'altro per la corteccia che si stacca da sola tutti gli anni. È un sughero ma è troppo poco compatto e troppo pieno di buchi perché se ne possano fare dei tappi. Lo si utilizza soprattutto per il bordo delle reti che si vogliono far galleggiare. È un commercio assai redditizio per i proprietari degli alberi. È strano che l'albero non perda vigore come gli altri quando lo si priva della sua corteccia, anzi al contrario ha bisogno di esserne liberato. Sotto si trova una scorza rossa e color fango che nel corso dell'anno si trasforma in una bella corteccia di due pollici di spessore e talvolta anche di più. Si fa attenzione a spogliare l'albero con il tempo secco perché con un tempo umido o piovoso la corteccia nuova soffre, diventa molle e non acquisisce la durezza necessaria per essere commercializzata. Se si vogliono dare ai pezzi di corteccia delle qualità che la rendano adatta a usi diversi dalla pesca, bisogna esporla al fuoco, stenderla e appiattirla caricandola di pietre. L'azione del fuoco e la pressione ne avvicinano le varie parti e le danno più resistenza, così può essere destinata a usi diversi. Questa quercia produce delle ghiande più piccole e più allungate della quercia più frequente. È una pianta molto vitale, se la si taglia ricresce rapidamente con quantità di germogli che in pochi anni producono altrettanti alberi. Fin dall'età di sette od otto anni la sua corteccia dà un sughero molto buono e più l'albero invecchia più la corteccia migliora in qualità. Qualche anno fa, durante un inverno molto freddo, cosa frequente sulle alte montagne della Sicilia, alcuni pastori accesero un fuoco nell'incavo di una di queste querce, poi se ne andarono senza curarsi di spegnerlo. L'albero bruciò e l'incendio si trasmise agli alberi vicini: tutto il bosco contiguo andò in fumo. L'anno dopo il posto era pieno di alberi nuovi dieci volte più folti di prima. La produzione abbondante risarcì il proprietario del ritardo del raccolto che l'incendio aveva causato. Nelle campagne di Tusa si coltivano molti olivi e frassini da manna; vi si produce molto olio e in paese c'è, infatti, un importante frantoio. In nessun altro luogo in Sicilia ho trovato un posto con un'aria più povera. Gli abitanti di Tusa sembrano privi di tutto. La metà superiore di questa città cade in rovina ma non la riparano e il paese si spopola. Dicono che cinquant'anni fa Tusa avesse diecimila abitanti, oggi non ne conta più di tremila. La metà inferiore della città è situata trecento passi più sotto verso sud. Gli abitanti hanno un aspetto migliore, più sano. Ho visto delle donne molto belle, alte e ben fatte. Un prete della chiesa madre mi domandò nella mia qualità di architetto di fargli il progetto di un tabernacolo per una cappella che dovevano risistemare. Assolsi il mio compito con successo: il mio disegno piacque molto e per disobbligarsi, dal momento che il denaro è molto raro in questi posti, egli mi regalò il fegato di non so quale animale presentandomelo come la migliore produzione della contrada. In Borgogna mi avrebbero dato del vino, a Moka del caffè: ogni paese si fa un punto d'onore di pagare con le sue produzioni tipiche. I padri Cappuccini mi chiesero un regalo: il ritratto di un loro confratello, un venerabile servitore di Dio di età molto avanzata il cui posto in cielo era già garantito tanto che essi già lo riverivano e lo facevano riverire dagli abitanti di Tusa come un santo, gloria del loro convento. Non mancai di esaudire i loro desideri e fui colmato di benedizioni.